L’Università di Zurigo e l’ETH devono cessare gli esperimenti crudeli e degradanti sui primati. Devono impegnarsi nello sviluppo di nuovi metodi di ricerca moderni, etici ed affidabili.

Esperimenti sui primati tuttora bloccati a Zurigo

Dopo la cessazione degli esperimenti nel 2014, il Tribunale amministrativo zurighese dovrebbe tra poco prendere una decisione sul ricorso inoltrato contro gli esperimenti che il neuroscienziato Valerio Mante intende svolgere presso l’Istituto di neuroinformatica (INI) dell’Università e Scuola politecnica federale di Zurigo (ETH).

Un progetto molto simile già vietato nel 2009

Quando nell’aprile 2014 Valerio Mante aveva inoltrato la richiesta di svolgere esperimenti su macachi, sembrava poco probabile che potesse ottenere l’autorizzazione dell’autorità cantonale, visto che il suo progetto assomigliava molto a quello già vietato nel 2009 dal Tribunale federale.
Contro ogni aspettativa, e nel più assoluto disprezzo della giurisprudenza, il servizio veterinario zurighese gli ha rilasciato un’autorizzazione nel luglio 2014. Opposti a questi esperimenti, i tre rappresentanti della protezione degli animali della commissione sulla sperimentazione animale del cantone di Zurigo hanno fatto opposizione all’autorizzazione nell’agosto 2014.

Come previsto dalla procedura zurighese, il Consiglio di Stato era stato sollecitato a pronunciarsi sulla validità dell’opposizione. Ma quale speranza si poteva ragionevolmente riporre in un esecutivo che assegnava diverse decine di migliaia di franchi all’Università per permetterle di installare nuovamente delle gabbie per le scimmie ancor prima di aver comunicato la propria decisione? Nessuna, e dunque non c’è da stupirsi se il Consiglio di Stato ha respinto l’opposizione nel dicembre 2015.

Per il Consiglio di Stato, la ricerca zurighese prevale sulle sofferenze inflitte agli animali. Le nostre università possono fare i loro esperimenti sugli animali senza limiti. Fintanto che tutto questo apporta notorietà e contributi al cantone, l’etica passa in secondo piano. E poco importa che il Tribunale federale abbia già dichiarato illecito questo tipo di esperimenti. Le procedure giuridiche sono lunghe e costose per le parti coinvolte, sicchè il Consiglio di Stato non rischiava grosso prendendo decisioni scandalose.

Nel caso in questione, fortunatamente i membri della commissione (delle organizzazioni Zürcher Tierschutz e Tier im Recht) non hanno abbassato le braccia ed hanno depositato un ricorso contre gli esperimenti di Mante presso il Tribunale amministrativo zurighese. Il ricorso era corredato da una lettera aperta al Consiglio di Stato, co-firmata da 46 organizzazioni svizzere di protezione degli animali, tra cui la LSCV.
Non rinuncia però nemmeno l’università zurighese che, a spese dei contribuenti, si avvale dei servizi di uno dei principali studi legali per contestare la validità del ricorso. L’università vuole svolgere esperimenti sulle sue scimmie, e non bada a spese per riuscirci. Il governo zurighese è sulla stessa linea, avendo previsto un investimento di CHF 500’000.- per la messa a norma degli impianti destinati a ricevere le scimmie. Perchè questi esperimenti di Mante non riguardano un progetto isolato. L’INI vuole rilanciare le procedure sperimentali sui primati, sospese dal 2009.

« Meno sofferenze » negli esperimenti

Prevedendo un’opposizione piuttosto viva al suo progetto, Valerio Mante si è premurato di limitare gli aggravi inflitti agli animali, rispetto al progetto vietato nel 2009. Dalla durata dell’esperimento alla restrizione d’acqua per dissetarsi, tutto è stato praticamente dimezzato.
Per il ricercatore dunque le sofferenze inflitte agli animali sarebbero ridotte allo stretto indispensabile. A riprova il fatto che il sistema di elettrodi impiantati chirurgicamente sotto anestesia nel cervello dei macachi prima dell’inizio degli esperimenti è lo stesso di quello utilizzato in pazienti umani trattati con stimolazione profonda. Poichè il cervello è privo di recettori del dolore non ci sarebbe alcuna sofferenza.
Solo che i casi di lesioni o edemi intorno agli elettrodi dopo intervento chirurgico su pazienti umani non sono per niente rari. E poi la somministrazione di piccole quantità di corrente elettrica per turbare l’attività della corteccia prefrontale mira a cercare di simulare turbe dell’umore o psicosi negli esseri umani. Come si può escludere l’eventualità che queste turbe possano sussistere dopo la fine della sessione di studio quotidiana?
Ed in più i pazienti umani non sono messi nelle stesse terribili condizioni di detenzione dei macachi, che consistono nel rimanere rinchiusi in gabbia per molti anni nei sotterranei di un laboratorio. Tranne per esserne estirpati di forza ed immobilizzati su una sedia per primati, mantenuti assetati per ore.
Ma soprattutto la valutazione dell’aggravio fissato dalla legislazione non tiene conto della terribile sorte di questi macachi prima di finire in un laboratorio. La detenzione lontano in una gabbia d’allevamento, le malattie provocate dal confinamento, lo sradicamento ed il trasporto in un cassa di legno nella stiva di un aereo, lo scarico e l’invio in un centro di quarantena. Ed un’ultima spedizione in camion fino alla sua destinazione finale. Valerio Mante pensa al terrore che hanno vissuto le scimmie che vuole utilizzare per i suoi esperimenti? Perche non è mai preso in conto dall’autorità cantonale al momento della ponderazione degli interessi ?

Quale validità hanno per l’uomo gli studi di Valerio Mante ?

Il suo progetto su « due o tre » macachi rhesus, « in un primo tempo », prevede lo studio di popolazioni di neuroni nella corteccia prefrontale, zona del cervello che raggruppa diverse funzioni cognitive come il linguaggio, la memoria di lavoro, il ragionamento e più generalmente le funzioni esecutive. Numerosi studi sugli animali sono costantemente condotti in questo campo, con la speranza di capire i meccanismi cellulari coinvolti in patologie come la schizofrenia o la depressione.

Il cervello umano differisce evidentemente da quello dello scimpanzé a livello di dimensioni, organizzazione e complessità. Ed ancora di più da quello del macaco. Ma diversamente da altre zone cerebrali, la corteccia prefrontale sembra presentare alcune similitudini. Anche se alcune imaging medicali hanno dimostrato che la corteccia prefrontale ventrolaterale non è collegata nello stesso modo alle zone cerebrali coinvolte nell’udito. Ed anche se il polo frontale laterale, presente nel centro della corteccia prefrontale ventrolaterale umana, non esiste nella scimmia. Questa regione prende parte alla presa di decisioni, alla pianificazione ed alla capacità di effettuare diverse mansioni simultaneamente.
Nella misura in cui uno studio mira ad acquisire nuove conoscenze su meccanismi ancora sconosciuti, la validità del modello è essenziale. In questo caso, è semplicemente impossibile estrapolare all’uomo i risultati ottenuti sul macaco, tanto sono numerosi i parametri coinvolti in questi process. Ciò che spiega la proliferazione di studi svolti da anni senza che ne risulti la minima applicazione clinica efficace per l’uomo. E gli studi di Mante, come gli altri, non serviranno ad altro che a contribuire ad aumentare i mucchi di carta alimentati da questi studi crudeli e costosi.

Paragone tra le cortecce prefrontali umana (A) e Macaco (B)

Il cervello dello scimpanzé è 3 volte più piccolo di quello dell’uomo. E quello del macaco è ancora più piccolo.

Il numero di sinapsi che garantiscono le connessioni neuronali è diverso tra l’uomo ed il primate. Uno studio pubblicato sui Resoconti dell’Accademia americana delle scienze (PNAS) ha peraltro evidenziato un’ulteriore asimmetria strutturale del cervello umano, che potrebbe spiegare il fatto che siamo più progrediti sul piano cognitivo. Si tratta del solco temporale superiore (STS), una fessura della corteccia situata nel lobo temporale superiore del cervello, una struttura coinvolta nel discorso e nella percezione sociale.

Paragonando 73 cervelli di scimpanzé a 177 cervelli di umani, si è potuto osservare una struttura asimmetrica lunga circa 4,5 centimetri nell’emisfero destro del cervello umano.

Almeno 91 geni coinvolti nei meccanismi neurofisiologici si esprimono in modi diversi nell’uomo e nella scimmia.
Studi recenti hanno evidenziato differenze di espressione dei geni, che potrebbero spiegare l’evoluzione più rapida del cervello umano.

Quali alternative sono possibili agli esperimenti sulle scimmie?

Studi su volontari umani

Perchè non svolgere questo tipo di esperimenti su volontari umani, portatori o no di elettrodi già impiantati per via di un trattamento in corso ?
« Sarebbe illegale » rispondeva Mante il 26 aprile 2016 al giornalista Beobatcher. Illegale ? Eppure all’estero si effettuano regolarmente imaging medicali di volontari. E’ uno di questi studi svolti su 25 volontari e 25 macachi che ha consentito di mappare la zona prefrontale del cervello per studiarne le similitudini tra queste due specie. Evidentemente non sarebbe ammissibile stimolare la corteccia di volontari per indurre uno stato depressivo. Il vero problema per interpretare i risultati di questi esperimenti condotti su primati ne relativizza la necessità. Invece di continuare a svolgere studi costosi su primati sostenendo che attualmente non è possibile fare la stessa cosa su esseri umani, perchè non utilizzare i fondi pubblici stanziati per questi esperimenti per affinare i procedimenti di imaging cerebrale. Studi assolutamente non invasivi su volontari sarebbero dunque possibili e con risultati direttamente applicabili alla specie in questione.
Ben inteso, ricercatori come Mante che hanno costruito tutta la loro carriera scientifica svolgendo esperimenti su scimmie, preferiscono continuare su questa strada e collezionare le pubblicazioni scientifiche piuttosto che mettere in pericolo la loro carriera cercando altri strumenti di studio più pertinenti per i loro simili. E’ così che funziona il sistema della ricerca medica.

Fuga di cervello ?

Il rifiuto degli esperimenti sui primati da parte del TF nel 2009 aveva suscitato le solite dichiarazioni allarmiste. Il presidente dell’ETH Ralph Eichler annunciava: « C’è da temere che questa decisione avrà conseguenze negative sulla piazza scientifica zurighese ». Persino la rivista Nature aveva scritto un editoriale incendiario. Il ricercatore Kevan Martin faceva presente che « gli scienziati si muovono.» Amabile allusione all’eterna « fuga dei cervelli » preannunciata. Pensava anche lui di andarsene dalla Svizzera? « Sarebbe un giorno triste per me » rispondeva il ricercatore. Ed un pessimo calcolo contabile. Gli scienziati non stanno poi così male in Svizzera. Nel 2016, Kevan Martin è tuttora docente all’INI…

Kevan A. C. Martin è ancora all’INI. In mancanza di primati, fa i suoi esperimenti sui gatti.

Il gioco del « Bugiardo ! »

Per inquietare la popolazione, i ricercatori tendono a sostenere che se gli esperimenti sui primati vengono vietati in Svizzera, i ricercatori andranno a farli in Cina dove la protezione degli animali è inesistente. E’ questo il succo del comunicato stampa diramato il 21 gennaio 2016 dall’organizzazione pro vivisezione Forschung für Leben (FFL), in cui si rimproverava « l’irresponsabilità » dei tre membri della commissione zurighese che avevano osato fare ricorso contro le sperimentazioni sui primati svolte dall’università e dall’ETH di Zurigo.
« Con la loro ostinazione, i protettori degli animali non salveranno la minima scimmia » prevedeva sul Tages Anzeiger Rolf Zeller, ricercatore di Basilea e vice-presidente del FFL, adducendo come motivo che questi esperimenti di importanza capitale si faranno all’estero dove non vige lo stesso livello di controllo delle sperimentazioni sui primati che in Svizzera.

In pratica, le condizioni sperimentali sono poi così diverse all’estero ? Quando fa comodo agli ambienti della ricerca, palesemente non sempre.
Il ricercatore in neuroscienza dell’EPFL Grégoire Courtine spiegava il 18 aprile 2016 sulla radio suisse romande di essere molto contento del suo viaggio in Cina dove aveva potuto svolgere esperimenti su alcuni primati. Per lui non ci sono differenze. Alla domanda sul perchè questi esperimenti finanziati con fondi europei erano svolti in Cina, il ricercatore ha risposto:
« In Cina, si obbedisce alle stesse leggi che le nostre ricerche se si facessero in Svizzera. Ma effettuate in seno ad una struttura privata ».

Forschung für Leben, una clinica di scienziati visionari

L’insuccesso in medicina umana dei trattamenti testati con successo su primati sono di ordinaria amministrazione. Non abbastanza per il FFL che nella sua rivista L’echos des souris di agosto 2010, faceva il suo rapporto sull’inchiesta pubblicata dalla rivista scientifica Nature. FFL scriveva che « la grande maggioranza dei ricercatori specialisti dell’HIV ritiene il « modello macaco » indispensabile – anche nel lungo termine – per lo studio dell’evoluzione della malattia e la messa a punto di eventuali vaccini o microbicidi vaginali. Come spiegato da Thomas Klimkait dell’Istituto di microbiologia medica dell’università dei Basilea ». Concludendo magistralmente : « Non è con colture cellulari che riusciremo a determinare cosa succede esattamente nell’apparato genitale femminile al momento della trasmissione nè in che modo trattare per fermare il virus a questo livello ».

I mesi successivi sono stati duri per l’FFL, dato il risultato di uno studio clinico pubblicato nel settembre 2010 nella rivista The Lancet. Un gel microbicida vaginale anti-aids (PRO 2000) testato con successo su macachi si è rivelato assolutamente inefficace per le 9’000 donne testate in diversi paesi africani.