Nel contesto della pandemia di coronavirus e a fronte dell’urgenza di trovare dei trattamenti medici e della necessità di capire meglio gli effetti del virus, il 16 aprile 2020 il Consiglio federale ha lanciato, su proposta del Fondo nazionale svizzero (FNS), il programma nazionale di ricerca speciale “Covid-19” (PNR Covid-19), finanziato con 20 milioni di franchi per una durata di 2 anni.
Il FNS ha ricevuto l’incarico di creare il comitato direttivo del PNR, di organizzare l’esame delle richieste e di pronunciarsi sui finanziamenti al fine di “ottenere dei risultati nel miglior tempo possibile”. Dopo un primo invito alla presentazione dei progetti, il 10 giugno 2020 sono state ricevute 190 domande. Tra queste, ad agosto 2020 sono stati selezionati 28 progetti di ricerca.
Qual è il bilancio degli studi condotti presso le nostre università nell’ambito di questo PNR, considerato che nell’inverno 2020 diversi vaccini contro la covid-19, sviluppati dalle case farmaceutiche, erano in fase clinica o già approvati dalle autorità dei diversi paesi per poter dare inizio alla vaccinazione dei cittadini?
In data 4 febbraio 2021, i 28 progetti erano ancora in corso. Alcuni già del tutto superati dalle conoscenze acquisite nel frattempo. Cinque progetti facevano apertamente ricorso agli esperimenti sugli animali. Ad esempio quello del centro di cardiologia dell’ospedale “Inselspital” e dell’Università di Berna. Lo studio, finanziato con Fr 1’951’700.-, vuole comprendere le interazioni tra le malattie cardiovascolari e la covid-19. A detta dei ricercatori, “è fondamentale conoscere le cellule che possono essere infettate direttamente dal SARS-Cov-2” se si vogliono sviluppare nuove terapie. Una volta contagiate le cellule endoteliali, la loro reazione immunitaria infiammatoria e le modifiche indotte dal virus sono successivamente studiate nel danio zebrato e nei topi. Lo scopo è di trovare approcci terapeutici e di migliorare il trattamento della covid-19 nonché di prevenire le conseguenze a lungo termine sui sistemi cardiovascolare e nervoso.
Altro progetto, quello del Dipartimento di Medicina del Centro universitario ospedaliero del Cantone Vaud (CHUV), finanziato con Fr 597’600.-. Obiettivo: disattivare un gene (STING) nei topi per valutarne il potenziale terapeutico nella riduzione delle risposte infiammatorie in caso di infezione da SARS-COV-2.
Il progetto dell’Istituto di Virologia e Immunologia dell’Università di Berna, finanziato con Fr 1’189’457.-, mira a ricodificare il genoma del SARS-COV-2, ottenendo così un virus indebolito per favorire lo sviluppo di vaccini e testarne in seguito “l’innocuità e l’immunogenicità in diversi modelli animali”. In questo modo i ricercatori dichiarano di voler contribuire “all’impegno mondiale nella produzione di vaccini contro il SARS-COV-2”.
Il progetto della clinica di dermatologia (Dermatologische Klinik) dell’ospedale universitario di Zurigo, a beneficio di un finanziamento di Fr 267’016.-, vuole invece testare sui topi la produzione di un vaccino all’mRNA, che sarebbe più semplice rispetto a quella già sviluppata dalle case farmaceutiche BioNTech, CureVac e Moderna.
Anche il progetto dell’Istituto di Virologia dell’Università di Zurigo, finanziato con Fr 491’681.-, mira allo sviluppo di un vaccino anche se, come scrivono i ricercatori, 42 vaccini sono già in fase di sperimentazione clinica (su volontari o pazienti umani). Tuttavia, a differenza degli altri colleghi, i ricercatori del progetto intendono utilizzare sui topi un batterio intestinale (Bacillus subtilis) come vettore del vaccino.
Chi è disposto ad aspettare il 2022 per un vaccino?
Quali conclusioni dobbiamo trarre da tali progetti, in particolare quelli sullo sviluppo di vaccini per il 2022? Nel frattempo, la Confederazione ha firmato il 3 febbraio tre nuovi contratti per l’approvvigionamento di vaccini contro la Covid-19 per il nostro paese.
La paura scaturita dalla pandemia ha fatto moltiplicare i finanziamenti pubblici. E le nostre università, a causa della lentezza e complessità dei loro progetti, in genere centrati su una determinata ricerca fondamentale, sembrano non riuscire a fornire risultati rapidi e utili alla salute umana. Non è possibile perseverare nella riproduzione degli stessi studi lenti e inefficaci su un’intera coorte di animali e nel contempo voler produrre conoscenze che saranno davvero al servizio della popolazione umana. Tutto ciò è paradossale se si considera che è proprio quest’ultima a finanziare questi studi superati.
Sempre più animali nei laboratori delle nostre università
Dalla prima pubblicazione, nel 1983, delle statistiche concernenti la sperimentazione animale in Svizzera, le case farmaceutiche sono state a lungo le principali istituzioni a ricorrere alla sperimentazione animale. La situazione è cambiata a partire dal 2012 quando per la prima volta le università del nostro paese si sono aggiudicate il primato in materia di esperimenti sugli animali. Da allora il trend rimane invariato e dal 2015 le università sperimentano sugli animali circa il doppio rispetto alle case farmaceutiche. Tale scenario è dovuto solo in parte alla delocalizzazione della sperimentazione animale in paesi dove le leggi sono più permissive o inesistenti. Uno dei principali motivi è la moltiplicazione e l’espansione dei centri di detenzione di animali da laboratorio finanziati da fondi pubblici nonché i sussidi sempre più importanti attribuiti ai ricercatori delle nostre università. Ma quali sono i risultati concreti in materia di sanità pubblica?